La Valle di Selva Grande
Nel versante laziale dei Monti della Laga, nella parte meno conosciuta e selvaggia dell’Appennino centrale, si sviluppa, tra imponenti bancate di arenaria, la spettacolare Valle di Selva Grande.
Il periodo migliore per visitarla va da fine maggio a fine novembre: per le fioriture maggio giugno; per la nitidezza dei panorami e per i paesaggi autunnali a partire da settembre, per le cascate maggio-giugno e novembre.
COME CI SI ARRIVA
La partenza del percorso verso la Valle di Selva Grande si raggiunge dalla frazione di Capricchia, seguendo poi la strada per il Sacro Cuore. Subito prima di raggiungere il monumento si lascia l’auto sullo spiazzo in corrispondenza dei pannelli informativi e della segnaletica CAI (https://w3w.co/toccato.matita.civetta – 42.625768, 13.357941).
LA GEOLOGIA
L’incisione del Fosso di Selva Grande, orientata E-W, trasversalmente allo spartiacque principale, evidenzia la struttura geologica della catena.
A differenza degli altri gruppi dell’Appennino centrale, in prevalenza formati da rocce carbonatiche (calcari e dolomie), la Laga risulta costituita da una successione di strati e banchi di arenarie (sabbie cementate) più resistenti alternate a livelli, più facilmente erodibili, di marne (argille contenenti carbonato di calcio). Questa successione è nota in geologia con il nome di “Flysch della Laga”. Le condizioni di giacitura, la serie di strati è disposta a monoclinale inclinata verso E (cioè come le pagine di un libro sollevato sul lato sinistro) e gli eventi tettonici a cui sono stati sottoposti durante la formazione della struttura appenninica improntano la configurazione della catena. In particolare, nel settore occidentale, la scarpata che sottolinea la brusca variazione altimetrica tra gli altipiani di Amatrice e Campotosto e lo spartiacque principale (con un dislivello di 1000-1300 m) è provocata da una faglia (rottura della massa rocciosa con spostamento delle parti a contatto) lunga alcune decine di km e con movimento verticale di almeno 1500-2000 m.
Trasversalmente rispetto all’asse principale della catena scorrono una serie di torrenti (localmente detti fossi) tra cui il principale è quello di Selva Grande, caratterizzati da una successione di cascate e tratti fortemente acclivi.
Le superfici spianate alla base del rilievo (quote tra 950 e 1100 m) le cosiddette “piane” derivano dall’accumulo di sabbie, blocchi e argille provenienti dall’erosione della catena e depostisi in ambiente fluvio-lacustre.
Nel tratto inferiore, il Fosso di Selva Grande scorre sino alla quota di m 1500 circa in calcari e marne, formazioni rocciose poste al disotto delle arenarie, tra le due successioni è presente un livello di argille grigie. Il comportamento diverso di queste rocce ha determinato lo sviluppo in corrispondenza del passaggio argille grigie-arenarie di una superficie spianata, variamente estesa, posta a quote tra 1500 e 1600 m. Su questo ripiano passano le mulattiere principali della valle, tra cui il nostro percorso, inoltre al suo margine le differenze di permeabilità delle rocce a contatto, determinano l’esistenza di una serie di sorgenti perenni.
La bassa permeabilità d’insieme della successione di arenarie e marne, limita l’infiltrazione delle precipitazioni, consentendone in gran parte il deflusso superficiale o alimentando un sistema di circuiti sotterranei locali, contenuti a breve profondità, all’interno delle zone di roccia maggiormente fratturate. Ciò spiega la mancanza di grosse sorgenti (con portate di m3 al secondo) mentre permette l’esistenza di una rete di emergenze perenni, ma con portate limitate, distribuite sin quasi sulle vette, che alimentano la circolazione superficiale.
L’esistenza di una coltre di materiali sciolti, derivanti dallo sviluppo, abbastanza rapido su queste rocce, dei processi di alterazione e disgregazione (ad opera di gelo, pioggia, vento, variazioni di temperatura) permette, tranne nei punti in cui le pendenze risultano eccessive, la formazione del suolo e lo sviluppo di una copertura vegetale continua, grazie anche alla discreta quantità d’acqua disponibile durante tutto l’anno.
Queste caratteristiche ambientali, indispensabili per lo sviluppo della vita vegetale ed animale hanno consentito una frequentazione umana continua, in misura maggiore rispetto alle aree appenniniche limitrofe, a partire dalla preistoria.
L’ITINERARIO
La partenza è dal parcheggio del Sacro Cuore, buon punto panoramico dal quale si può abbracciare con lo sguardo tutto il settore occidentale dell’altipiano di Amatrice. Poco prima della fine della strada asfaltata si dirama sulla destra il sentiero tematico 3, il cui tracciato coincide con parte del sentiero CAI 300.
Dapprima si segue una pista bianca, dopo alcune centinaia di metri si prende, sempre a destra, (le frecce indicano Monte Gorzano) i sentiero che risale dapprima tra gruppi di alberi, poi allo scoperto a zig-zag verso il brullo Colle del Vento (m 1483).
Dal Colle del Vento si apre l’eccezionale panorama della Valle della Selva Grande; oltre a poter ammirare il tratto più spettacolare del versante laziale della Laga si ha una idea immediata della struttura geologica della catena.
Da Colle del Vento si domina la conca di Amatrice. Oltre alla bellezza del paesaggio, osservando attentamente la distribuzione degli abitati, le vecchie mulattiere che li collegavano, la delimitazione dei campi, le opere di sistemazione, possiamo riconoscere le diverse fasi dello sviluppo degli insediamenti e delle attività agro-pastorali sino alle trasformazioni attuali, conseguenti al parziale abbandono delle frazioni e coltivazioni.
Osservando la dorsale montuosa di fronte abbiamo (da sinistra verso destra): di fronte il rilievo piatto alla sommità di Monte Doro, con alle spalle la parete centrale di Cima Lepri (m 2445) solcato dal Fosso di Cima Lepri; seguono gli speroni del fianco destro col loro profilo caratteristico, attraversati dai Fossi di Ciufficolle, della Corva e della Solagna, che in condizioni di illuminazione particolare (in autunno, al tramonto) assumono un tono spettacolare.
Le creste ed i picchi rocciosi si sviluppano fino a 2000 metri, al di sopra, sino alle creste si estendono le praterie d’altitudine. Il settore a ridosso di Cima Lepri è detto Tara Bella, mentre tutto il versante sino alla sella posta alla testata della valle (m 2221) per la sua esposizione soleggiata costituisce la Solagna. La culminazione della cresta, Pizzo di Moscio (m 2411), è la quarta cima della catena della Laga sopra i 2400 m.
Oltrepassata la sella la testata della valle è sbarrata da due rilievi dalle pendici erbose a forma piramidale, il maggiore, Monte Pelone raggiunge i 2259 m.
Il versante sinistro della valle, sino allo sperone che sale direttamente alla vetta del Monte Gorzano (m 2458), per la posizione ombreggiata è detto la Pacina.
Il Fosso di Selva Grande scende dalle pendici del Monte Pelone e si versa, dopo un corso di 7,5 km, nel fiume Tronto poco a valle del paese di Capricchia.
Questa valle oltre a rappresentare uno degli ambienti più selvaggi e spettacolari dei Monti della Laga conserva uno dei lembi più estesi della copertura boscosa originale potutasi conservare, pur soggetta a tagli periodici, per la difficoltà nel recupero del legname connessa alla sua configurazione morfologica.
Naturalmente all’inizio della frequentazione umana, la sua estensione doveva essere molto maggiore, è interessante comunque notare che il termine “selva” che spesso usiamo come sinonimo alternativamente a quello di “macchia”, “bosco”, etc. in realtà ha posseduto dal medioevo un suo preciso significato, quello di copertura vegetale primitiva d’alto fusto, mentre “macchia” entra nell’uso (come riscontrato nei documenti medioevali) per indicare territori disboscati e messi a coltura, successivamente abbandonati, dove la vegetazione spontanea (cespugli, specie colonizzatrici) riprendeva il suo sviluppo.
Durante il cammino non limitatevi ad osservare il panorama davanti a voi, ma di quando in quando fermatevi e voltatevi all’indietro o spingete lo sguardo sopra di voi, ne vale la pena. Tra l’altro potrete osservare le agili acrobazie aeree dei gracchi alpini (Pyrrhocorax graculus) e corallini (Pyrrhocorax pyrrhocorax) che formano gruppi di anche 100 individui che volando lanciano il loro stridulo richiamo. Con un po’ di fortuna assisterete al volo del gheppio (Falco tinnunculus) e della poiana (Buteo buteo), i falconiformi più comuni in zona.
Nelle cavità sulle pareti a picco della valle nidifica l’aquila reale (Aquila chrysaetos), la si può talvolta osservare mentre vola alla ricerca di cibo sulle praterie d’altitudine.
In primavera salendo verso Colle del Vento è possibile osservare, nelle radure fuori del bosco, le estese fioriture di genziana cerulea (Gentiana utriculosa), giglio rosso, giglio martagone, narcisi (Narcissus radiiflorus) e crocus (Crocus neapolitanus). Facilmente osservabili sono pure culbianco (Oenanthe oenanthe), codirosso (Phoenicurus phoenicurus), codirossone (Monticola saxatilis), passeriformi tipici di questi ambienti di prateria cespugliata.
Da Colle del Vento la mulattiera prosegue, sempre sul lato sinistro della valle, in falsopiano tra gruppi di faggi ed aceri, pure frequenti sono i cespugli di rosa canina e di ginepro dalla chioma bassa. Le bacche di ginepro unitamente ai frutti di rosa canina costituiscono anche parte della dieta della Coturnice (Alectoris graeca), galliforme, dalla livrea variopinta e dal volo basso e pesante, tipico della montagna appenninica. Vi consigliamo di prestare anche attenzione ai piccoli uccelli che popolano i boschi che state attraversando, potrete ascoltare il canto delle cince, del Pettirosso (Erithacus rubecula), dello scricciolo (Troglodytes troglodytes) e il tambureggiare del picchio rosso maggiore (Dendrocopos major).
Sul lato opposto della valle si susseguono le creste rocciose alla base della Solagna, l’alternanza di strati con diversa resistenza nei confronti dell’erosione determina sul versante un andamento spezzato caratteristico detto “a denti di sega”. Giunti in corrispondenza del Fosso della Solagna, sul lato opposto rispetto a voi, se si è nella stagione adatta (tarda primavera o autunno) potete ammirare la Cascata delle Barche, in corrispondenza del salto del Fosso della Solagna in quello di Selva Grande.
Proseguendo poco dopo si giunge ad un’ampia radura pianeggiante, immersa nei faggi; siamo a Piani Fonte (m 1545), la sorgente da cui deriva il nome della località è posta al limite degli alberi, poche decine di metri al di sopra del sentiero. In questa radura potrete osservare, nel periodo compreso tra giugno e luglio, estese fioriture di genziana gialla (Gentiana lutea) e di digitale (Digitalis micrantha). Numerosi monticelli di terra rivelano la presenza di arvicole e talpe. In primavera il cuculo (Cuculus canorus) fa udire il suo monotono verso.
Dopo un breve tratto tra i faggi ci si trova in una piazzola scoperta fiancheggiata a sinistra da un bastione roccioso alto 2-3 metri, mentre a destra le frecce direzionali indicano il sentiero CAI 365 che risalendo il Colle della Pelara porta allo stazzo di Gorzano (m 1882) e al Monte Gorzano.
Affacciandosi con cautela sul costone osservate di fronte uno sperone roccioso con le pareti strapiombanti isolato tra il Fosso di Selva Grande su un lato e, sotto di voi, il F.so di Gorzano che da origine ad una cascata di circa 30 metri (le Trecine alte).
Lasciato sulla destra il sentiero CAI 365 si attraversa il fosso e quindi piegando a sinistra si risale una piccola rampa tra gli alberi. Subito dopo il F.so di Gorzano la mulattiera si biforca; il nostro percorso prosegue in piano ben evidente a sinistra tra gli alberi.
Sempre mantenendosi a quote di 1500-1550 m attraversate il bosco che ricopre lo sperone di Balzi Classette, dopo un breve tratto raggiungete una radura posta all’estremità di un ripiano. Da qui, oltre alle fioriture primaverili di giglio rosso (Lilium croceum) e martagone (Lilium martagon), genziane (Gentiana verna, Gentiana dinarica) e altre specie meno appariscenti (aglio, trifoglio, etc.), potete scorgere oltre il fosso, il tratto successivo del sentiero 300 corrispondente alla mulattiera principale che collegava la Selva Grande con i paesi di San Martino e Moletano.
Usciti dalla radura, piegando a destra si riprende la traccia evidente nel bosco che ora attraversiamo per un tratto maggiore. Nonostante lo sfruttamento il bosco presenta motivi di interesse sia per le dimensioni di alcune piante che per le essenze presenti: aceri (Acer sp.), faggio (Fagus sylvatica), carpino nero (Ostrya carpinifolia), tasso (Taxus baccata), agrifoglio (Ilex aquifolium), salicone (Salix caprea), sorbo (Sorbus aria), berretta da prete (Euonymus europaeus). Lo sviluppo della vegetazione, il gioco delle luci che filtrano tra le chiome, i massi rocciosi crollati dalle pareti sovrastanti, il tappeto di muschi e foglie, la possibilità di avvistare degli animali, rendono il luogo magico. Il canto del merlo (Turdus merula) risuona in questo tratto, così come il verso stridulo delle ghiandaie (Garrulus glandarius) e il richiamo che l’allocco (Strix aluco) lancia nel periodo del corteggiamento. Scoiattoli (Sciurus vulgaris) e ghiri (Glis glis) frequentano il bosco nutrendosi di bacche e ghiande e, alla base degli alberi più grandi, si osservano spesso le tane di volpi (Vulpes vulpes) e tassi (Meles meles), difficili da osservare, ma dei quali si rinvengono frequentemente le tracce.
Superati alcuni tratti in saliscendi per aggirare blocchi rocciosi di notevoli dimensioni si giunge ad un masso (a destra del sentiero) che presenta una cavità di alcuni metri, utilizzata ed utilizzabile come riparo da pastori e viaggiatori. Si tratta di una forma di erosione tipica delle rocce costituite da granuli a diversa composizione quali le arenarie che procede inizialmente dalla superficie della roccia, poi si sviluppa dall’interno verso l’esterno attraverso la dissoluzione del cemento che lega i singoli granuli.
Dopo una breve rampa in discesa si giunge al F.so di Selva Grande, il sentiero lo attraversa piegando a sinistra tra gruppi di faggi, la presenza in questo tratto di tronchi caduti durante l’inverno, può rendere necessarie piccole deviazioni per evitare gli ostacoli. Qui termina il sentiero tematico, mentre il sentiero CAI 300 prosegue verso San Martino. La presenza per alcune decine di metri di un tratto di versante piuttosto ripido e scivoloso per la natura della roccia, localmente detta “saponella”, richiede particolare attenzione, specialmente nei periodi piovosi. Questo breve tratto, per chi volesse proseguire è classificato come EE (Escursionisti Esperti), la restante parte del percorso è classificato come E (per Escursionisti).
LE ATTIVITA’ ANTROPICHE
I muretti a secco
Lungo il sentiero, tra gli alberi si possono notare delle piazzole circolari di una decina di metri regolarmente distribuite; si tratta delle carbonaie, dove in passato veniva prodotto il carbone di legna utilizzato largamente per le stufe, la cucina ed il riscaldamento. La struttura delle carbonaie rivela la capacità di sviluppare, pur con la limitatezza dei mezzi a disposizione, costituiti esclusivamente dal lavoro fisico e dagli animali, uno sfruttamento oculato e programmato nel tempo delle risorse del bosco. Le piazzole realizzate a mano, livellando un piccolo tratto di terreno e sfruttando appieno le condizioni morfologiche, erano delimitate spesso da piccole opere di sostegno, quali terrapieni e muretti; una rete di sentieri sempre ricavata con pala e piccone permetteva il passaggio dei muli con cui si trasportava a valle il carbone.
Oltre che da pastori, cacciatori e boscaioli la Valle di Selva Grande, per la configurazione morfologica e l’ampia possibilità di nascondigli e ripari, ha rappresentato per secoli ideale base e rifugio per i briganti, ricordiamo tra l’altro che a pochi chilometri di distanza correva il confine tra Stato della Chiesa e Regno di Napoli. Le gesta delle bande ancora si ritrovano nei racconti degli anziani, derivanti dalla tradizione orale, e nei nomi di località. Così abbiamo alla base del Gorzano la “finestra dei briganti”, più avanti lungo il nostro percorso il fosso della Corva o dei briganti, poi la fonte del brigante, il Colle dell’impiccato, ecc. Tra i più famosi, citiamo per le sue scorribande, Giuseppe Costantini (1758- ?) meglio noto come “Sciabolone” che partecipò ampiamente con le sue bande alle vicende politiche e militari che seguirono la venuta in Italia di Napoleone, a cavallo tra il ‘700 e l’800.
Lo stazzo di Piani Fonte
La pastorizia ha rappresentato per secoli una risorsa fondamentale per le popolazioni montane dell’Italia centro meridionale. I Monti della Laga, con Amatrice, sono noti per essere terra di pastori. L’allevamento ovino è stato l’attività economica prevalente dell’area amatriciana per lungo tempo, tanto da averne profondamente segnato l’ambiente fisico e i caratteri culturali.
Nel periodo di maggiore sviluppo, migliaia di ovini pascolavano sui rilievi; gli anziani raccontavano che, per quanto erano numerosi, dai paesi si vedevano i fuochi accesi degli stazzi sui monti.
Poi, le trasformazioni economiche e sociali e lo spopolamento della montagna hanno comportato un declino della pastorizia, con una notevole riduzione dei capi di bestiame e modi di gestione diversi da quelli tramandati dalla tradizione.
L’area era utilizzata sino a pochi anni orsono come stazzo. Lo stazzo (dal latino statio, “fermata”, “sosta”) è il recinto all’aperto, usato come ricovero notturno per il gregge. Lo iaccio, come è chiamato nel dialetto locale, era costruito in queste zone in un luogo aperto, con muretti a secco; all’interno di questo recinto si trovava generalmente la capanna del pastore anch’essa eretta con i muri in pietra a secco e il tetto realizzato in legno e schiazze (lastre di pietra). Negli stazzi non solo gli animali e gli uomini trovavano riparo la notte ma si provvedeva anche alla mungitura, alla lavorazione del formaggio e a tutte le altre attività.
Come nel caso dello stazzo di Piani Fonte, gli stazzi si trovavano in prossimità di sorgenti o di corsi d’acqua, in modo da renderne agevole l’approvvigionamento ed erano raggiungibili tramite sentieri più o meno impervi.
Data la concentrazione di sostanza organica nutritiva nel suolo, l’area si presenta ora ricoperta in gran parte da specie vegetali che prediligono questo tipo di suoli (specie nitrofile come ortica, cardi, etc.).
Il sentiero dei ficorari
Abbandonando il percorso tematico, in corrispondenza del Fosso di Gorzano, inizia un lungo percorso che, dopo aver seguito un fossetto, risale verso il Colle della Pacina (m 1803), scende allo stazzo della Pacina e, dopo aver traversato il fosso e costeggiata una propaggine del Monte Pelone, raggiunge lo stazzo di Padula e il valico (m 2221) posto tra Pizzo di Moscio ed Monte Pelone. Questo tracciato, per l’estensione dei pascoli sui versanti e il decorso della valle, ha sempre rappresentato per le popolazioni locali un particolare interesse per la pastorizia e gli scambi col versante teramano. Sino agli anni ’50 lungo di esso transitavano i contadini di Montorio al Vomano (Teramo) che con i muli si recavano in Amatrice per vendere i loro fichi rinomati, da cui la denominazione di sentiero dei ficorari.