Le MACCHIE DI S. EGIDIO
DOVE SONO
Le Macchie di S. Egidio si trovano sul versante occidentale di Pizzo di Sevo ad una quota compresa tra 1200 e 1600 m e coprono complessivamente una superficie di circa 500 ettari.
COME CI SI ARRIVA
Dalla frazione di S. Angelo si prende la strada secondaria che sale fino a Macchie Piane, a un tornate della strada si trova il palo segnaletico che indica il sentiero 378 (https://w3w.co/oltre.voltare.scadere – 42.66765, 13.308704). Il sentiero, lungo circa 2,5 km corrisponde alla vecchia strada di servizio realizzata dalla Società Terni (oggi ENEL) negli anni cinquanta per per raggiungere le tre dighe che convogliano l’acqua dei fossi verso il lago di Campotosto.
Una volta raggiunta l’ultima diga si prende a destra e, attraversato il vecchio letto del torrente, ormai prosciugato, si sale seguendo l’alveo; dopo circa 300 metri si raggiunge una radura circondata da faggi secolari. Salendo ancora sulla sinistra per circa un centinaio di metri ci si trova davanti alla piccola cappella di S. Egidio, meta nel mese di agosto di un pellegrinaggio che sale dalla frazione di Cossito utilizzando un sentiero di cui si può ancora apprezzare il percorso lastricato.
GEOLOGIA
Il sentiero risale lungo la valle del F.so di Solagna; è questo uno dei numerosi corsi d’acqua che solcano il versante, formando talvolta strette incisioni, alimentati dallo scioglimento delle nevi e dalle numerose sorgenti in quota. La parete rocciosa (Lo Stero) che si osserva in alto a sinistra procedendo lungo il sentiero mostra le potenti bancate di arenaria che rappresentano l’ossatura geologica di tutta la catena.
Lungo tutto il sentiero è chiaramente evidente l’azione erosiva del torrente sulle arenarie che si manifesta con la presenza di strette forre e profonde pozze circolari.
VEGETAZIONE
Lungo la strada, che dalla frazione di S. Angelo conduce a Macchie Piane, si attraversa dapprima la cerreta, bosco misto di latifoglie a prevalenza di Cerro, la quercia più diffusa su tutto il versante laziale della Laga. Il Cerro è facilmente riconoscibile per le foglie coriacee strettamente incise e per la sua ghianda provvista di una cupoletta emisferica con squame appuntite più o meno arricciate. E’ stato da sempre sfruttato, assieme al Faggio, come legna da ardere e da lavoro. Presso i centri abitati è stato spesso soppiantato dal Castagno, utilizzabile anche come materiale da costruzione. Accompagnano il Cerro poche altre specie arboree ed arbustive: il Carpino nero, dalle foglie ovali e seghettate e dai caratteristici frutti a grappolo; il Nocciolo, arbusto con larghe foglie pubescenti e dai ben noti frutti, importante fonte alimentare anche per la fauna selvatica; il Maggiociondolo, leguminosa arborea o arbustiva, dalle inconfondibili infiorescenze gialle a grappolo e dalle foglie composte con tre foglioline appuntite.
Poco sopra i 1200 m di quota la cerreta lascia gradualmente il posto al bosco di faggio. Poco dopo l’inizio del sentiero, lasciato sulla sinistra un boschetto di ciliegio selvatico, ci si trova, sempre sulla sinistra, una piccola area (50 ha circa) occupata da una stazione di Betulla (Betula pendula) sicuramente non piantata dall’uomo. La stazione è inserita in un bosco misto, costituito in prevalenza da Faggio, Cerro, Castagno e Pioppo tremolo.
Si tratta di un popolamento composto da alcune decine di piante, facilmente riconoscibili per la corteccia bianco-argentea e le foglie triangolari con i bordi seghettati, con una abbondante rinnovazione naturale. Presso la diga ENEL fino alla cappella di S. Egidio si incontrano alcune decine di faggi secolari, sparsi qua e là nel bosco, dalla peculiare forma a candelabro, scampati, non si sa come, allo sfruttamento intensivo del patrimonio forestale della zona.
Le radure, un tempo utilizzate a scopi agricoli e pastorali, sono state rapidamente colonizzate da una vegetazione arbustiva a Felce aquilina, Ginestra dei carbonai e Rosa selvatica che crea i presupposti per lo sviluppo successivo del bosco. Tra le specie più interessanti e facilmente riconoscibili nella faggeta e negli ambienti di radura ricordiamo la Belladonna, dai caratteristici fiori campanulati e dalle velenose bacche nere brillanti, l’Agrifoglio, il Ribes Uva-spina, dai rami spinosi ed i frutti commestibili, e l’Aquilegia, dai vistosi fiori penduli azzurro-violetti. Nella forra incisa dal torrente poco più a monte, la vegetazione è quella tipica ripariale con salici contorti e alcune specie schiettamente umbrofile tra cui, oltre la stessa Aquilegia, il Cardo zampa d’orso, dalle foglie spinescenti e dagli appariscenti capolini gialli, e diverse specie di felci e muschi.
FAUNA
Lungo tutto il sentiero e nei dintorni della cappella di S. Egidio è possibile, con un po’ di pazienza e di silenzio, rilevare prove dell’esistenza degli abitanti del bosco. In particolare nel periodo da marzo a settembre gli uccelli si manifestano con il canto, usato per segnalare la loro presenza e difendere i territori occupati nel periodo riproduttivo. E’ così che si possono ascoltare i canti di Luì piccolo, Pettirosso, Merlo, Cinciallegra e Scricciolo. Lungo il torrente, nei pressi di cascatelle e dove l’ac¬qua è più veloce, è possibile osservare il Merlo acquaiolo, color ruggine con una vistosa macchia bianca sul petto. Lo Scoiattolo è un frequentatore della cerreta mentre nella faggeta si potrebbero osservare le impronte lasciate dal Cinghiale. Fino agli anni cinquanta nell’area era presente la Lontra.
I SEGNI DELL’UOMO
Le tracce lasciate dalle attività umane sono sparse per tutto l’itinerario, e abbastanza evidenti; dall’antico lastricato lungo il sentiero che porta alla cappella di S. Egidio, all’edificio stesso della cappella, alle più recenti opere idrauliche destinate a raccogliere le acque dei torrenti principali e a convogliarle, mediante gallerie sotterranee, al lago di Campotosto in Abruzzo. Anche gli elementi più tipici del paesaggio vegetale originario e precisamente i faggi secolari che si trovano intorno alla cappella di S. Egidio, mostrano i segni di una utilizzazione sia pure limitata.
Si tratta, infatti, di esemplari non elevati, piuttosto tozzi, con le diramazioni principali tutte alla medesima altezza che sono indice di sistematiche potature indirizzate probabilmente alla raccolta di frascame per il bestiame.